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La Provincia di Terra di Lavoro

Dai giustizierati normanno-svevi alla sua soppressione nel 1927

Il territorio della storica provincia di Terra di Lavoro è oggi ripartito fra tre regioni e sette province: il Lazio con Latina e Frosinone, il Molise con Isernia, e la Campania con Caserta, Benevento, Avellino e Napoli.
In origine il suo ambito territoriale si estendeva a nord a tutta la zona di Gaeta, con il comune di Fondi al confine con lo Stato della Chiesa, includendo naturalmente le isole pontine, e al territorio di Sora tranne Pontecorvo che dal 1463 fu un’exclave dello Stato della Chiesa; ad est si spingeva al Venafrano fino a Monteroduni; a sud est fino al Telesino; e a sud fino al Nolano e alla penisola Sorrentina comprendendo, quindi, anche l’attuale provincia e città di Napoli.

"S.Q. XXXIV A 14 Terra di Lavoro olim Campania Felix" su concessione del Ministero della Cultura © Biblioteca Nazionale di Napoli
"S.Q. XXXIV A 14 Terra di Lavoro olim Campania Felix" su concessione del Ministero della Cultura © Biblioteca Nazionale di Napoli
Dinastia normanna

Terra di Lavoro affonda le sue radici nel Principato longobardo di Capua (900-1062), ma il concetto geo-politico di questa provincia, e quindi il processo di formazione del territorio – soprattutto quanto alla confinazione – e della sua identità, maturò in età normanno-sveva. Re Ruggero II d’Altavilla, infatti, prima del 1149 stabilì i limiti geografici di quello che sarà poi il giustizierato federiciano di Terra di Lavoro mediante l’istituzione delle connestabilie. Si trattava di amministrazioni militari attraverso cui furono ripartite le due province continentali del Regno di Sicilia: il Ducato di Puglia e il Principato di Capua. Quest’ultimo fu suddiviso in due connestabilie i cui confini furono tracciati seguendo la ripartizione delle diocesi. A capo di ciascuna di queste circoscrizioni era posto un connestabile, cioè un ufficiale regio che svolgeva funzioni prettamente militari controllando le prestazioni del servizio militare dovute dai feudatari al sovrano e prendendo il comando degli eserciti così composti.
Nel 1165 risulta Landolfo Borrello come connestabile di quella circoscrizione che afferiva all’area tirrenica a ridosso dei domini della Chiesa e dove preesistevano le cinque contee di Fondi, Molise, Alife, Carinola e Caserta, con Capua come metropolis, la sola insieme alla capitale Palermo.

Dinastia sveva

Una prima definizione formale di questo territorio si ebbe, però, con l’istituzione del Giustizierato di Molise e Terra di Lavoro, voluto come circoscrizione giudiziaria dall’imperatore Federico II nel 1221. Il Giustizierato era un sistema giudiziario-amministrativo periferico in cui il giustiziere, come rappresentante del sovrano, amministrava la giustizia ed era preposto al mantenimento dell’ordine pubblico e della pace. Accanto alle funzioni giudiziarie, tuttavia, spesso a tale carica erano attribuite anche funzioni militari e diplomatiche.

Epoca moderna

È con l’avvento degli Aragonesi che la circoscrizione assunse il nome di provincia e fu dotata successivamente di un proprio organo di governo, l’Udienza provinciale, al cui vertice era il Preside. Questa magistratura, che, come in genere quelle di antico regime, cumulava attribuzioni di vario ambito, amministrava la giustizia e, a partire dal 1735, inviava alla Camera di Santa Chiara in Napoli le cause di reclamo, di nullità e di appello. In Provincia di Terra di Lavoro queste funzioni erano attribuite al Commissario di Campagna, magistratura itinerante a cui spesso spettava dirigere anche un Tribunale di Campagna. Dalla metà del secolo XVIII risulta prevalentemente residente a Grumo Nevano, ma l’ultimo Commissario di Campagna, Lelio Parisi, spesso, per l’esercizio delle sue funzioni, risiedeva ad Aversa.

Decennio francese

Soltanto con la dominazione dei Napoleonidi nacque l’amministrazione provinciale moderna attraverso le leggi del 1806-1807 che istituirono, tra gli altri, la figura dell’Intendente e i Consigli provinciali.
Proprio in seguito al riordinamento delle province del Regno, la provincia di Terra di Lavoro subì le prime perdite territoriali con l’istituzione della provincia di Napoli che ricomprese anche i distretti di Pozzuoli e di Castellammare. Nel frattempo fu istituita la prima «capitale» – odierno capoluogo –, Santa Maria Maggiore – oggi Santa Maria Capua Vetere – che però ebbe vita breve poiché già nel 1808 fu spostata a Capua, per poi essere trasferita definitivamente a Caserta dieci anni dopo.

Ottocento borbonico

Nell’Ottocento borbonico Terra di Lavoro risulta essere la quinta provincia per estensione su quindici del Regno continentale con 1.959 miglia quadrate e suddivisa nei cinque distretti di Caserta, Nola, Gaeta, Sora, Piedimonte d’Alife. Quanto alla popolazione era la seconda provincia dopo quella di Napoli.

Unità d’Italia

Una seconda perdita di territori si ebbe a seguito dell’Unità d’Italia con l’istituzione della provincia di Benevento, il 25 ottobre 1860, che inglobò il circondario di Cerreto Sannita con comuni come Cusano Mutri, Telese, Sant’Agata de’ Goti ecc. Nel 1863, poi, i comuni del Vallo di Lauro e del Baianese passarono alla provincia di Avellino, mentre il Venafrano alla provincia di Campobasso. Nel frattempo, però, l’enclave pontificia di Pontecorvo fu assorbita nella provincia di Terra di Lavoro.

Soppressione del 1927

Il 2 gennaio 1927 rappresentò una data infausta perché, con regio decreto legislativo n. 1, Vittorio Emanuele III di Savoia soppresse – caso unico in Italia – la provincia di Terra di Lavoro, dopo ben sette secoli dalla sua istituzione. Il suo territorio fu diviso tra le allora province di Roma, Frosinone, Campobasso, Benevento e Napoli, dovendo quelle di Littoria (poi Latina) e Isernia ancora sorgere. Dei 192 comuni che la componevano all’epoca, 102 passarono alla provincia di Napoli, 16 a Benevento, 7 ad Avellino, 15 a Roma e 52 a Frosinone. Il territorio afferente all’attuale provincia di Caserta, in particolare, fu diviso tra quelle di Benevento e di Napoli.

«Ricostituzione» del 1945

Con decreto legislativo luogotenenziale dell’11 giugno 1945, n. 373, Umberto II di Savoia ripristinò la provincia ma con la nuova denominazione di Provincia di Caserta, perdendo non solo l’antico nome di Terra di Lavoro ma circa la metà del territorio che la costituiva, essendo composta di soli 82 comuni aumentati oggi a 104 per via di alcuni centri che riottennero l’autonomia amministrativa e di altri di nuova istituzione.
Seppur non la stessa provincia storica, quella di Caserta già nel decreto veniva almeno riconosciuta, con il termine «ricostituzione», la sua erede naturale.

Etimologia

L’origine del nome di Terra di Lavoro deriva dal toponimo Leboriae la cui più antica documentazione risale al I sec. d. C. con l’opera Naturalis historia di Plinio il vecchio il quale la collocava in quella parte della pianura campana tra le città di Capua, Pozzuoli e Cuma. Nell’Alto Medioevo, poi, tale toponimo, nella variante Liburia, si indentificò con la regione a nord del Ducato di Napoli, tra la Contea di Capua, il territorio di Nola e il territorio di Pozzuoli. Successivamente indicherà un’area molto più vasta che giungeva fino all’attuale Iserniese con l’abbazia di San Vincenzo al Volturno. Soltanto dopo l’anno Mille, durante la dominazione normanna, compare la denominazione di Terra Laboris che coinciderà con la Campania felix di romana memoria. Al 1092 risale, forse, la più antica documentazione del toponimo Terra di Lavoro come «Terre Laborie».
In epoca rinascimentale ritornò l’uso promiscuo della denominazione di Campania felix accompagnata a quella di Terra di Lavoro.
Il toponimo Leboriae va rapportato con il termine leporem (accusativo di lepus), quindi trova origine dal nome di un esemplare predominante nella fauna indigena di questo territorio. Mentre il toponimo Terra Laboris ha il suo motivo ispiratore da labor nell’accezione di produttività agraria.

Stemma

La provincia di Terra di Lavoro ha da tempi immemorabili usato come emblema araldico due cornucopie d’oro legate in una corona marchionale, la prima d’uva e di frutta, la seconda di spighe di grano, in campo azzurro. E proprio la cornucopia, nella simbologia mitologica, rappresenta la prosperità, l’abbondanza e la fertilità che ben si addice alla Terra di Lavoro definita da Scipione Mazzella «quasi regina d’ogn’altra provincia l’avanza di tutti i beni della natura».

Bibliografia essenziale
  • Catalogus baronum, a cura di Evelyn Jamison, Roma 1972.
  • Catalogus baronum. Commentario, a cura di Errico Cuozzo, Roma 1984.
  • Errico Cuozzo, L’unificazione normanna e il regno normanno-svevo, in «Storia del Mezzogiorno» a cura di Giuseppe Galasso, Rosario Romeo, vol. II, tomo II, Napoli 1989.
  • Errico Cuozzo, «Quei maledetti Normanni». Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno, Napoli 1989.
  • Aurelio Lepre, Terra di Lavoro, in «Storia del Mezzogiorno» a cura di Giuseppe Galasso, Rosario Romeo, vol. V, Napoli 1987.