Vai al contenuto

Il colera a Maddaloni nel 1910-1911

  • Storia

Il COVID-19 e la pandemia che è esplosa nel 2020 hanno portato la popolazione mondiale a fare nuovamente i conti con uno scenario che sembrava ormai confinato ad una storia lontana, dimenticata. Si può ben dire che, fin dalla sua nascita e sviluppo, l’umanità si è trovata ad affrontare innumerevoli volte la diffusione di morbi di vario genere: si va dalla peste, che a distanza di vari secoli ha mietuto vittime in tutto il mondo, al vaiolo, malattia che seppur ricomparsa più volte nei secoli, ha contraddistinto il Settecento europeo, dal colera alla “spagnola”. Ad una di queste epidemie ed alla sua dinamica in uno dei centri della nostra Terra di Lavoro è dedicato questo nostro speciale odierno: nello specifico tratteremo dell’epidemia di colera che interessò Maddaloni tra il 1910-1911. Per capire le dinamiche di diffusione e lotta all’epidemia risultano fondamentali due relazioni che vennero lette nell’ambito di due distinte riunioni del Consiglio Comunale maddalonese. La prima è dell’assessore dott. Raffaele Rienzo e risale al 1910, mentre la seconda è del responsabile dell’Ufficio Sanitario Comunale dott. Vincenzo Borgia del 1911.

L’ondata “lieve” del 1910

A trattare questa prima ondata di colera fu la relazione dell’assessore dott. Raffaele Rienzo. Nell’agosto del 1910 iniziarono ad arrivare a Maddaloni notizie relative alla diffusione del colera a Napoli e nei paesi vicini. L’amministrazione comunale, in quel momento retta dal sindaco Alfonso Raffone, medico maddalonese, intuisce sin da subito l’importanza di un’azione preventiva tesa a diminuire gli effetti di una diffusione del contagio. Furono aumentati i controlli, tesi soprattutto all’accertamento della qualità delle derrate alimentari, e implementato il servizio di spazzamento delle strade. Nell’ambito di questi controlli, le Guardie Municipali eseguirono ben «300 contravvenzioni per immondizie, cessi, derrate alimentari guaste».

Venne ordinata la pulizia dei pozzi, delle cisterne e dei pozzi neri. Venne disposto l’allontanamento dal centro cittadino degli animali come capre, pecore e maiali e vietata la vendita del pesce, del baccalà, dei fichi e dei cocomeri. L’obiettivo dell’amministrazione, quindi, fu quello di intervenire per rendere la città pulita e impedire il contatto tra rifiuti di vario genere ed alimenti. Inoltre Maddaloni venne divisa in sei zone ognuna affidata ad una speciale commissione di vigilanza. Si istituirono squadre di disinfezione per intervenire nelle strade e nelle fogne con lavaggi abbondanti di latte di calce e acido fenico.

Si avviò il controllo alle stazioni ferroviarie di Maddaloni Inferiore e Superiore con personale medico per i viaggiatori provenienti da luoghi infetti e veterinario per le bestie. Venne inoltre preparato il Lazzaretto Comunale, guidato dai medici Benedetto Quintavalle e Filippo Renga, che sorge ancora oggi in una zona periferica della città nei pressi della frazione di Montedecoro. Nonostante questi interventi, il colera arriva in città il 22 settembre. Antonella Cortese giunge a Maddaloni da Miano, in provincia di Napoli, città dove il colera è già è esploso. Passa la notte da alcuni parenti in via Altomari. Il giorno dopo la donna inizia ad avvertire i sintomi, ma nonostante questo esce in strada dove, per fortuna, incrocia il dott. Alfredo Di Vico, che resosi conto della situazione la conduce al lazzaretto. La casa di via Altomari viene immediatamente disinfettata e i residenti vengono trasferiti al lazzaretto per tenerli sotto osservazione. Il 25 settembre c’è il primo caso “indigeno”: si tratta della “giovinetta” Lucia Amicone residente a casa Lauria in via Ponte Carolino nella zona dei Mulini. Un altro caso si registra nella notte tra il 25 e il 26 settembre, quello della “zingarella” Generosa Bevilacqua infettatasi nella casa Lauria e che “andò a finire”, ovvero venne trovata morta, nel vicolo del Formale.

Dal 22 settembre al 6 novembre, data dalla quale non si registrano nuovi casi, a Maddaloni si conteranno 59 infettati e 33 decessi, 7 dei quali di persone finite nelle proprie abitazioni. I guariti saranno 26. Oltre al caso della signora proveniente da Miano, l’assessore Rienzo nella sua relazione cerca di rintracciare le ragioni dell’esplosione del morbo in città. Una potrebbe essere legata al contatto che la famiglia Amicone ebbe per motivi di commercio con un negoziante di Sant’Antimo poi scoperto contagiato; oppure al fatto che la famiglia maddalonese avesse acquistato dei vecchi sacchi provenienti da Cerignola (anche la Puglia venne colpita dal colera). Un’altra causa, con la quale l’assessore spiega anche il motivo per cui il contagio rimase circoscritto alla zona dei Formali, è da rintracciarsi nell’azione di una cittadina scellerata «la quale per scopo di lucro lavò la biancheria di individui morti di colera nel Formale» (i formali erano delle bocche dalle quali fuoriusciva l’acqua del Carmignano che veniva adoperata dalla popolazione).

Alfonso Raffone, sindaco di Maddaloni

La seconda ondata: il terribile colera asiatico

La seconda ondata di colera, quella più dura e virulenta, colpì Maddaloni tra il giugno e l’agosto del 1911. Per comprendere meglio questa fase è indispensabile leggere la relazione dell’Ufficiale Sanitario di Maddaloni dott. Vincenzo Borgia il quale ci dice che, mentre nel 1911 il colera colpiva le città vicine di Caserta, Santa Maria Capua Vetere e Aversa, a Maddaloni «che nel 1910 era sulla bocca di tutti, e italiani e stranieri, facendo sì che i nostri naturali venissero espulsi come tanti lebbrosi» restava immune. Questo fino al 18 giugno quando, nel pomeriggio, Angela Maria Della Ventura residente in via Ponte Carolino iniziò a presentare i segni del colera asiatico. Questa nuova forma si dimostrava, anche secondo le parole del relatore, più violenta e grave. Se la prima ondata aveva colpito una zona abbastanza circoscritta, quella dei Formali, la seconda colpì tutto il centro cittadino, arrivando a toccare anche le frazioni di San Marco Evangelista e Montedecoro. Stando al medico Borgia, il “vibrione colerico” attecchì principalmente nel rione tra via Troiani e Pignatari, una zona abitata da contadini e forestieri, cioè fra abitanti incolti e «poco curanti di regole igieniche e profilattiche». Dal 18 giugno al 31 agosto i casi di colera furono 154 e ben 108 persone morirono in seguito al peggioramento della malattia. I guariti furono 46.

Nel lazzaretto inoltre furono assistiti anche 273 familiari dei contagiati, a 33 dei quali venne scoperto il bacillo. Questo ci suggerisce che nel lazzaretto si conducevano anche analisi mirate a scovare i soggetti contagiati. La struttura venne definitivamente chiusa il 18 settembre dopo la dimissione dell’ultimo paziente Vincenzo De Lucia. Anche Borgia, così come Renga, cerca di trovare le cause della diffusione del morbo. Stando all’Ufficiale Sanitario di Maddaloni, questa nuova ondata venne importata dalla località denominata “Mazzoni”, tra Capua e Grazzanise, dove si recavano contadini e commercianti di paglia per sedie. Non a caso infatti a Maddaloni l’artigianato legato alla sedia impagliata era all’epoca molto fiorente.

 

Le due ondate dell’epidemia di colera suggeriranno agli amministratori maddalonesi di intervenire adottando uno strumento normativo in grado di migliorare la gestione dell’igiene pubblica in città. Non è un caso infatti che pochi mesi dopo, il 27 marzo 1912, l’amministrazione del sindaco Raffone approvò un nuovo regolamento d’igiene che teneva conto naturalmente delle inefficienze a cui si tentò di rimediare nel corso dell’epidemia. L’ultimo regolamento era stato approvato nel 1893.

Bibliografia
  • Biblioteca Museo Civico di Maddaloni, FRANCESCO D’OROLOGIO, Raccolta delibere Comune di Maddaloni 1898 – 1915.

Perché la citazione è importante
Abbiamo bisogno del tuo sostegno, che può essere fatto con pochi clic. Se decidi di utilizzare i contenuti del nostro sito web non dimenticare di citare la fonte, indicando il link del nostro articolo. Questo valorizzerà il nostro lavoro! Per maggiore supporto non esitare a contattarci.

Condividi: