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La caccia alla bufala

La secolare presenza degli spagnoli nel Regno di Napoli, durata dal 1503 al 1706, ha lasciato ampie tracce della sua permanenza con alcuni tipici comportamenti, usanze, abitudini e modi di agire, alcuni dei quali sono ancora presenti nella vita dei piccoli centri ove il potere degli hidalgo è stato esercitato con più immediatezza nei confronti dei ceti popolari.

Il fiorire delle cerimonie religiose, con tutta la ridondanza del gusto barocco, sommamente spiegate nelle processioni religiose e negli atti di pietà della Settimana Santa, non ha impedito il propagarsi di altri riti, meno nobili e più effimeri, ma comunque passionali e sanguigni, come l’arte della tauromachia.

Una variante paesana della corrida spagnola, direttamente portata dai governanti dei secoli XVI e XVII, rimane la “caccia alla bufala”, largamente praticata nei paesi dell’Irpinia, in Terra di Lavoro e nella Ciociaria fino agli anni che seguirono la Prima Guerra Mondiale. Tale tipo di caccia si è praticato anche nel salernitano, specialmente nei paesi ove è presente l’allevamento della bufala per la produzione della mozzarella. Le autorità governative, sia del cessato regime borbonico, sia di quello unitario nazionale, cercarono con ogni mezzo di dissuadere la folla dal praticare tale divertimento, il quale, il più delle volte, finiva anche con ferimenti e risse furibonde.

I paesi della provincia di Avellino ove la popolazione mostrava un particolare accanimento alla pratica della caccia alla bufala sono stati i comuni di Forino, S. Michele di Serino, Montoro Inferiore e Superiore, Contrada e altri paesi della Valle dell’Irno. Più estesa, invece, l’area di Terra di Lavoro, facilitata anche dalla forte presenza nella zona dei Mazzoni di vaste mandrie di bufale, anche qui da secoli allevate per la produzione della succosa mozzarella. La pratica della caccia alla bufala in provincia di Caserta è ampiamente documentata a Maddaloni, a Capodrise, a Macerata Campania, a Casaluce e Aversa, a Santa Maria Capua Vetere. Proprio in questo grande centro, evoluto e colto, principale capoluogo giudiziario della provincia di Terra di Lavoro, in una lapide apposta sulla facciata del palazzo Cusano, in Via Gallozzi, è ricordata la visita effettuata a Santa Maria Capua Vetere del Re di Sardegna, Carlo Emanuele e di sua moglie, la Regina Maria Adelaide, i quali, il giorno 12 settembre 1801, si portarono nel palazzo patrizio di Mattia Tartaglione Cusano e della moglie Tommasina dell’Uva Vigna, “per assistere per diletto alla caccia dei bufali, antico divertimento dei Campani”.

Bufala italiana

Le autorità governative dello scomparso regime borbonico cercarono con ogni mezzo di scoraggiare la folla dal praticare tale divertimento terminato, spesso, con tragiche conseguenze. Anche in Irpinia il Cavalier Valentino Gualtieri, abilissimo ed attivo Intendente (carica paragonabile all’attuale Prefetto) della provincia di Principato Ulteriore dal 1831 al 1837, in data 9 novembre 1831, si premurò di inviare una dura e perentoria circolare a tutti i Sindaci, ai Sottointendenti, ed ai Giudici Regi dei paesi della provincia di Avellino, nella quale, in “nome della civilizzazione giunta ad un grado che par che annunzi la perfezione”, ordinò che ormai era tempo di rimuovere uno “spettacolo che sa di barbarie”. L’usanza, ancora largamente praticata al tempo dell’Intendente Gualtieri nella provincia del Principato Ultra, è durata per molto tempo ancora. Tale rito rimase “invalso” e seguito, “ad onta del pericolo e degli sconcerti che sempre l’accompagnano”. Da qui il drastico divieto e, in caso di inottemperanza, anche l’arresto di sei giorni per tutti coloro che organizzavano e partecipavano al sanguinoso torneo. Oltre alla classica corrida che si combatte tra il toreador ed il toro nelle affollate arene di Barcellona, Siviglia e Madrid, l’usanza più vicina alle nostre caserecce caccia alla bufala sembra essere la manifestazione che si svolge ancora oggi, nel mese di luglio a Pomplona, sempre in Spagna, durante la festa di San Firmino.

Una spettacolare giornata, quella di San Firmino, durante la quale numerosi giovani torelli e tori di buona stazza sono lasciati correre per le vie del paese al seguito di una fiumana di gente impaurita, ma nello stesso tempo eccitata per le emozioni provate quando riesce a schivare le furibonde cornate arrivate a pochi centimetri dal proprio corpo. Queste forti e primordiali sensazioni le hanno vissute i nostri antenati in Terra di Lavoro, in Irpinia e nel Cilento, non tanto tempo fa. Vecchi documenti d’archivio attestano l’ampia diffusione di questa pratica. Nel 1757 avvenne, tra i tanti, il trasporto di ben cinque bufale dalla tenuta di Don Ottavio de Piccollelis, benestante e facoltoso possidente di San Nicola la Strada, con mandrie di bufale stanziate a Cancello Arnone. Le bufale furono mandate a Maddaloni per la “caccia” che durò alcune ore. Per il rientro le povere bestie furono trasportate con delle carrette perché non in più in grado di reggersi in piedi per le ferite e patimenti sopportati nel torneo. A Capodrise, pochi anni dopo, altre due bufale rimasero soccombenti ai micidiali e continui colpi delle “mazze ferrette” dei tanti cacciatori inferociti ed ubriachi di sangue.

La caccia avveniva mediante l’impiego di feroci cani mastini e còrsi che rincorrevano le bestie e le azzannavano specialmente alle orecchie, letteralmente strappate dai morsi, mentre i cacciatori cercavano di sfiancare la bestia con continue colpi di pertiche fornite all’estremità di un pungolo di ferro. Queste lance venivano chiamate, come sopra riportato, “mazze ferrette”.

Caccia alla bufala

A Macerata (oggi Macerata Campania), in diocesi di Capua, una giornata di questa caccia si tenne il 25 settembre 1795, durante la quale avvenne una lite clamorosa con risvolti giudiziari che vide protagonisti alcuni membri dei potenti clan familiari di Macerata, appartenenti alle famiglie Vetrella e Mingione, i cui particolari si possono ancora oggi leggere nelle pagine degli atti processuali della Corte Civile di Capua.

A distanza di poco più di un secolo, esattamente il 9 dicembre 1871 tale usanza, che fu definita dal Prefetto di Caserta retaggio di “tempi barbari”, continuava ad attirare un numero di persone sempre crescente nei paesi delle nostre zone, tanto da indurre il citato rappresentante del governo a proibire la caccia alle bufale con la circolare n. 10127, di pari data. Nella stessa circolare è ricordato come la caccia alla bufala “suol farsi per antica usanza”. Le povere bestie, irritate o stizzite tentano di aggredire i cacciatori. Anche il divieto di praticare tale “sport”, ribadito dal Prefetto di Caserta, così come quello emanata dall’Intendente del Principato Ulteriore molti anni prima, assume per le popolazioni dell’Irpinia e di Terra di Lavoro il valore di una delle tante inefficaci “grida” di manzoniana memoria con il risultato che tale cruenta pratica è rimasta in piedi ancora per molti anni, fino agli anni seguenti alla Prima Guerra Mondiale.

Una pagina riportata su questo pericoloso divertimento testimonia come anche nel piccolo centro di S. Michele di Serino sia stata praticata la “corza r’o vufalo” (la corsa del bufalo) per tanto tempo. A parlarci è stato Aldo Renzulli nel suo volume Sul filo dei ricordi, edito nel 1990. Anche a S. Michele si partiva con il carretto con destinazione Battipaglia per acquistare una piccola mandria di bufali che veniva lasciata al pascolo nelle numerose macchie della collina circostante. Ad incaricarsi dell’acquisto degli animali alcuni stravaganti personaggi locali, quali Giuanne Verderame, Amerigo ‘e Porzio, Munniello, Tore ‘e Foglia, Filippo ‘e Teresella, Peppe r’o Rezzo, ‘o Pizzuoco ‘e Michele ‘e Savino, e Don Limone, alias Eduardo Renzulli, tutte note persone del posto. A S. Michele di Serino luogo eletto ad arena era la piazza Medaglia d’Oro, ovvero la località chiamata “‘Ncoppa ‘e Cruci”, ove il grande tiglio che dominava la piazza serviva anche per legare il bufalo prescelto per la paesana corrida. Lo spettacolo richiamava molta gente che veniva da Cesinali, Aiello, Atripalda, Serino, Solofra per assistere alla lotta cruenta che finiva sempre con la morte del bufalo. La manifestazione era solito praticarsi nei giorni del venerdì di ottobre e durava fino al Natale. Anche a S. Michele di Serino i cani mastini e le pertiche appuntite sfibravano l’animale, sottoposto a dolorose ferite. Come in altri posti, il gioco non era privo di seri pericoli. Negli annali del paese è rimasto vivo il ricordo di quanto accaduto nell’edizione della caccia alla bufala dell’anno 1880. Il citato Tore ‘e Foglia, di professione sanzano (mediatore), ebbe l’ardire di entrare nel recinto per stuzzicare l’animale. Il  bufalo lo caricò e lo scaraventò a terra. Col muso lo spinse verso il muro per schiacciarlo. Provvidenziale accorse un giovane di Aiello che entrato nel recinto distrasse il bufalo dando modo alle altre persone di mettere in salvo il malcapitato torero nostrano. Ormai inferocita, la bestia con una cornata riuscì a rompere le assi del recinto correndo all’impazzata per le vie del paese. Seguì tra i presenti un confuso fuggi-fuggi che cessò quando la bestia andò a sbattere con tutta la sua possente mola nei locali di un caffè del paese, devastando tutto. Gli organizzatori dovettero risarcire il proprietario a loro spese, perché i soldi ricavati dalla macellazione dell’animale non furono sufficienti a coprire i danni causati. Un altro episodio clamoroso risale al 1922, quando incautamente furono recisi i tendini del bufalo prima che iniziasse la sarabanda dei cani e delle persone munite di pertiche. Il bufalo stramazzò a terra prima del previsto e non riuscì ad alzarsi per le devastanti ferite. 

Questa pericolosa e temeraria usanza scomparve anche a S. Michele di Serino verso la fine degli anni ’20 del Novecento, così come accaduto negli altri paesi della nostra regione.

Con la fine della guerra, le mutate condizioni sociali e la grave crisi economica e sociale che fece seguito alla “Vittoria mutilata”, altri interessi e altre usanze soppiantarono questo divertimento pericoloso e sanguinolente, rimasto in vigore molto più a lungo della stessa dominazione spagnola.


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