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Santo Stefano Minicillo, il pastore per il popolo

  • Storia

Il calendario per la giornata del 29 ottobre ci ricorda Santo Stefano Minicillo (935-1023), vescovo e confessore, patrono della città di Caiazzo e della diocesi di Alife-Caiazzo. Una figura carismatica che lega le comunità del caiatino alla comunità di Macerata Campania, suo paese natio.

«Santo Stefano, Pastore per il popolo» è lo slogan scelto per il Giubileo straordinario per la Diocesi di Alife-Caiazzo, che ha visto la sua apertura il 29 ottobre 2022 dando il via ad una serie di iniziative in ricordo del Santo, nel millenario della sua salita al cielo (CasertaNews, 2022).

Stefano Minicillo (o Menicillo, o anche Menecillo), venerato come santo dalla Chiesa cattolica, fu vescovo di Caiazzo dal 979 al 1023, anno della sua morte. Nacque nel 935 in “terra lanei” a Macerata Campania, in provincia di Caserta, da Guiselberta e Giovanni Minicillo, sotto il papato di Giovanni XI, mentre Landolfo III era Principe di Capua e di Benevento (come Landolfo I).

A lui a Macerata Campania è dedicata la strada dove ebbe i natali. Al civico 37 di via Santo Stefano è presente una lapide a ricordo dell’avvenimento, posta il 22 settembre 1935 nella celebrazione del millenario della sua nascita, con la dicitura: «La povertà dei natali commuove / La grandezza dell’apostolato esalta».

Secondo la tradizione orale il Santo avrebbe compiuto un miracolo da bambino proprio nella sua casa natia. Si racconta, infatti, che avrebbe donato ai più poveri il pane che sarebbe servito per sfamare la sua famiglia e che nel momento in cui diceva alla mamma di averlo regalato, beccandosi un brutto rimprovero, il pane per miracolo ricomparve ben cotto nel forno.

Una raffigurazione del Santo del suo tempo è presente nella Chiesa di Santa Maria a Marciano a Piana di Monte Verna, in provincia di Caserta, dove è presentato con caratteri fisionomici chiaramente di razza longobarda, come un uomo dalla robusta corporatura, con viso ovale e lungo, barba e capelli biondi. L’affresco realizzato nel 1334, nella cappella centrale, è espressione dell’arte della Scuola Senese e della Scuola Fiorentina (BeWeB, 2023). Nella stessa cappella, a sinistra di Santo Stefano Minicillo ritroviamo la raffigurazione di Sant’Antonio Abate, riconducibile allo stesso periodo, quasi ad omaggiare i luoghi natali del Santo essendo il culto antoniano a Macerata Campania molto forte.

Affreschi con Sant'Antonio Abate e Santo Stefano Minicillo nella Chiesa di Santa Maria a Marciano a Piana di Monte Verna (Caserta). Foto di Mariano De Angelis, 2021, fonte web.

Gabriele Jannelli nella Sacra Guida della Chiesa cattedrale di Capua ci offre una breve descrizione del Santo (Jannelli, 1858):

«Era egli nato nel nostro piccolo villaggio di Macerata (1) l’anno 935 di G. C. dalla gente di que’ medesimi Menicilli estinti poi in Capua con cospicuo grado di nobiltà (2) su’ principii del passato secolo, ed ora con modica fortuna tuttavia esistente un ramo in detto piccolo villaggio. Sin dalle fasce educato Stefano negli esercizi della cristiana pietà per mano degli onesti genitori a nome Giovanni e Guiselberta, poco in sopra degli anni sette aveva poi vestito in Capua l’abito chericale: ed appena venuto prete, in sostituzione del defunto Pietro già suo maestro e primo Rettore della Parrocchiale chiesa di S. Salvatore Maggiore, eragli della stessa Cappella, allora di dritto palatino, affidata la cura in grado di Abbate. La fama intanto delle sue virtù in ovunque manifestata, grandissimo rispetto e venerazione aveagli in breve ora cattivata nell’animo dell’universale; sicchè, quando per morte di Urso Vescovo Cajacense bisognò dare a quella cattedra un degno successore, l’Arcivescovo e Capuano Principe, di unita a tutto il popolo e clero, vollero esso il modesto Abbate in quella dignità assolutamente promosso. Defuncto Urso, Cajacensi Episcopo, a Pandulpho Principe, qui tunc Capuae principabatur, et Giriberto Archiepiscopo, atque omni populo, vel clero, gratia cunctorum et laetitia, D. Stephanus est electus , et consecratus Episcopus – così nell’antico Breviario Capuano.
Egli è perciò, che verrà veduto il Santo, di già varcato gli anni quarantaquattro, in cospetto del Capuano Principe Pandolfo, da cui precipuamente era uscito il mandato della elezione, nell’umile atteggiamento di scusarsi, reputandosi affatto indegno di quel posto; dall’altra, che Gerberto, come Arcivescovo di Capua, cui allora esclusivamente si addiceva il dritto della Episcopale investitura de’ suffraganei Prelati, gli va con animo porgendo la Bolla della consacrazione segnata del 1.° Novembre 979. Oltremodo maestosa e nobilmente severa figurerà la persona del Principe Pandolfo, così formidabile guerriero, e pertinace tanto ne’ suoi disegni, da non altrimenti essere conosciuto che sotto il distintivo di Capodiferro.
Si moriva S. Stefano nell’inoltrata età di anni 88, addì 29 Ottobre del 1022, assai chiaro per miracoli dopo morte, e in quella chiesa Cattedrale sepolto, ove sino al presente n’è grandemente venerato il Corpo. Allorquando nel 1512 fu quel sacro deposito rinvenuto dal Calatino Vescovo Maffa, fu visto essere il Santo di sviluppata statura, e di volto prolisso. È tuttora in piedi quella parte del Vescovile palagio da lui abitata, che già quasi cadente per vecchiezza vollesi ristaurata ed ampliata dal Card. Arcivescovo Francesco-Serra nel breve tempo, che egli tenne il possesso di quella Chiesa in grado di Amministratore dal Gennajo all’Agosto dell’anno 1850.»

Nello scritto il Jannelli riporta erroneamente come anno della morte il 1022 al posto del 1023, ma nel contempo ci fornisce altre informazioni su Macerata Campania e la famiglia Minicillo, cognome tuttora presente nella comunità maceratese (Jannelli, 1858):

«(1) Dell’antichità di questo villaggio rendon pruova gli atti della Invenzione del Corpo di S. Rufino, secondo la lezione, che il Papebrochio trasse dal membranaceo Codice Strozziano, quali atti ritengonsi scritti nell’anno istesso della detta Invenzione, cioè nel 688. In essi è menzione del locus, qui Macerata nuncupatur, appo il quale luogo si rattrovava a que’ giorni il sepolcro del Diacono S. Rufo.
(2) Ad essa famiglia si apparteneva la Cappella sotto il titolo di S. Apollonia, che esiste nella Chiesa di S. Domenico . L’Arcivescovo Costa a tempi suoi sapendo, come quelli di casa Menicillo traessero loro origine da sì gran Santo, per divota memoria dello stesso, volle che un tal giovinetto Lorenzo Menicillo vestisse abito chericale, il quale ordinato poi da esso medesimo Arcivescovo, giunse ad essere Primicerio della Cattedrale ed è quello stesso Lorenzo Menicillo, che con suo Testamento del 2 Ottobre 1632 facevasi il fondatore dell’attuale Conservatorio delle Pentite.»

Stefano Minicillo iniziò la sua vita ecclesiastica a Capua all’età di 7 anni, con l’ingresso nella “schola clericorum” del monastero annesso alla Chiesa di San Salvatore Maggiore a Corte. Dopo un periodo di proficuo apprendimento di insegnamenti a carattere letterario elementare, il piccolo Stefano fu iniziato alla lettura e allo studio delle sacre scritture. Fu certamente diacono e nell’anno 959 divenne sacerdote. Come ci informa Pasquale Capuano nella sua monografia dedicata al Santo (Capuano, 2008), «dalle ricerche e studi fatti su testi antichi, moderni e contemporanei si è evidenziata la certezza della inesistenza di una bolla di consacrazione a sacerdote di S. Stefano… poiché la regola della bolla di consacrazione fu introdotta in epoca molto posteriore al periodo in cui visse… egli fu eletto e consacrato sacerdote secondo la tradizione dell’epoca… a suffragio universale, quindi, S. Stefano fu chiamato ad assolvere questo nuovo impegno» nella Chiesa di San Salvatore Maggiore a Corte. La sua opera, sia all’interno che al difuori della comunità, appariva a tutti già in sentore di santità. Le sue ottime doti lo portarono ad assumere la nomina di Abate alla morte di don Pietro, suo maestro e primo rettore della Chiesa di San Salvatore Maggiore a Corte.

Statua di Santo Stefano Minicillo conservata nella Chiesa Abbaziale San Martino Vescovo a Macerata Campania (Caserta). Foto di Vincenzo Capuano, 2012.

Il 1° novembre 979 fu nominato Vescovo di Caiazzo. La consacrazione gli fu conferita dall’Arcivescovo di Capua Gerberto, assistito da Alderico, Vescovo di Calatia, e Leone, Vescovo di Sora, con al soglio di Pietro il Papa Benedetto VII (Capuano, 2008).

A 44 anni fece il suo arrivo a Caiazzo e ben altri 44 anni durò il suo episcopato, fino alla morte avvenuta il 29 ottobre 1023, reggendo la diocesi con bontà e sollecitudine. La narrazione della sua esistenza evidenzia la sua vicinanza al popolo, tanto da farsene difensore di diritti contro i facili abusi del potere temporale del tempo. Non ebbe mai esitazione, infatti, a schierarsi dalla parte dei poveri e degli oppressi con la consapevolezza di essere “uomo di Dio”, in un tempo in cui era garantito con violenza e forza un diritto esclusivamente a salvaguardia e privilegio di pochi uomini (Cosenza, 2001).

Il suo forte temperamento lo dimostra la vicenda della difesa dei beni dalla Chiesa di Caiazzo, che lo vide durante il sinodo di Capua del 1012 denunciare i soprusi dei signorotti locali che ne pretendevano la restituzione, dimostrandosi uomo libero da ogni compromesso (Diocesi di Alife-Caiazzo, 2023).

La forza per la sua incisiva azione pastorale, accompagnata da segni e prodigi, nasceva dalla preghiera costante di cui testimonia l’enorme ulivo, posto al di sotto della collina di S. Giovanni, nella zona detta in seguito Olivetum Sancti Stephani, all’ombra del quale si raccoglieva in orazione (Diocesi di Alife-Caiazzo, 2023). Era questo il motivo, forse, per cui la sua fama di “prediletto del Signore” aveva varcato i confini della stessa chiesa caiatina (Cosenza, 2001).

Resse la diocesi caiatina con grande spirito evangelico e molti furono i prodigi che il Signore operò attraverso di lui, sia quando era in vita che dopo la sua morte, che gli valsero l’appellativo di taumaturgo, tanto che i cittadini lo vollero come patrono della città. Bernardino Di Dario nella sua opera edita nel 1928 fornisce una descrizione dei miracoli ante mortem e post mortem (Di Dario, 1928), così come riporta Pasquale Capuano nella sua già citata monografia (Capuano, 2008):

«… È il giorno di Pasqua. Il S. Vescovo ha celebrato i divini misteri e porge il calice ad uno dei chierici assistenti, perché venga purificato. Secondo l’uso di quei tempi il calice era di vetro, e il buon chierico forse dovette mettere troppa forza nel tergerlo, tanto che si ruppe in molti pezzi. Stefano vede, si fa portare le particelle del calice infranto, prega, e il sacro vaso torna nella primitiva integrità tra lo stupore degli astanti, che vedono manifesto il dito di Dio. Un altro anno, ricorrendo la medesima solennità della Pasqua, il Santo, accompagnato dai chierici, discende fino alla balaustrata per amministrare al popolo la S. Comunione, quando per la ressa dei fedeli, una colonna di marmo si abbatté sulla folla che gli si assiepava intorno. Un grido di terrore sfugge dal petto dei circostanti; ma tutti rimangono illesi e glorificano Dio che tanto potere aveva dato al loro santo Pastore. Né qui finiscono i prodigi operati da S. Stefano in relazione con la S.S. Eucarestia. Essendosi il Santo recato con i suoi chierici in una villa per consacrare un altare nella Chiesa di S. Massimo, compito il suo ministero, si ritirò nella casa del sacerdote che aveva in custodia quella chiesa, per consumare una modesta refezione. Frattanto un cane, entrato nel tempio e trovata incustodita un’“oblata” la prese e fuggì per mangiarla in luogo sicuro; ma quando giunse presso la dimore di S. Stefano da arcana forza fu costretto a deporla; né potendo più addentarla, ululando richiamava sul posto altri cani, i quali neppure poterono toccarla. Era accorso numeroso popolo e vi andò anche il Santo, che la raccolse e diede a consumare ai fedeli, che ammirarono ancora una volta la virtù taumaturgica del buon Pastore. Un fatto non dissimile accadde allorché, avendo Stefano celebrato i Divini Misteri e amministrato la S. Comunione al clero e al popolo, consegnò le Sacre Specie ai suoi leviti perché la custodissero con ogni accuratezza; ma durante la notte alcuni topi scavarono un foro nella parete del Tabernacolo e giunsero anche a rodere la teca; ma allorquando vollero toccare il pane Eucaristico, repentinamente morirono. L’insigne santità del Vescovo Stefano era rimasta così impressa nella mente e nel cuore dei Caiatini e degli altri ai quali n’era giunta fama, che si verificò ben presto il noto detto d’Isaia (XI – 10): “et erit sepulchrum eius gloriosum”; e il sepolcro di lui sarà glorioso… nel primo anno dopo la morte di S. Stefano, quindi nel 1024, trovandosi un sacerdote gravemente tormentato da fortissime febbri, per modo che si disperava di vederlo guarito, il Santo Vescovo apparve di notte ad una pia donna e le comandò di recarsi presso l’infermo e dirgli, che riceverebbe la santità al di lui sepolcro, se si recasse dopo essersi accostato con sentimenti di vero dolore al Sacramento della Penitenza. La buona donna si levò per seguire il comando, ma cadde in malo modo, sì che non poté muovere passo; per cui, rivolta al Santo, esclamava: “se sei veramente confessore di Cristo, ridonami la sanità e io eseguirò i tuoi voleri”. La guarigione fu istantanea ed ella si recò subito dall’infermo, che avendo eseguito quanto gli era imposto, rimane del tutto libero dalle febbri. Similmente una donna, che era tribolata da molte infermità, avendo pregato fervorosamente presso quel sepolcro, ottenne la desiderata guarigione. A quel benefico sepolcro fu portato anche un chierico che soffriva di un dolore nei fianchi così acuto, da sembrargli di dovere da un momento all’altro esalare l’ultimo respiro; ed ivi, dopo breve e fervorosa preghiera, riebbe la bramata sanità. E pochi anni dopo la morte di Stefano una povera fanciulla paralitica, portata innanzi a quel taumaturgo deposito, se ne tornò a casa da sola, senza aiuto di alcuno. Il che avendo visto un infelice, che non aveva l’uso delle mani, vi andò anche lui e ottenne la grazia. Né deve omettersi il fatto che accadde, quando una donna, tormentata gravemente dal demonio, condotta a quel glorioso sepolcro, dopo le molte preghiere dei fedeli che l’avevano accompagnata, si sentì completamente libera dall’ossessione, mentre l’immondo spirito, nel lasciarla, esclamava: non voi, non voi, ma Stefano mi ha cacciato!».

Nella navata sinistra della Chiesa Abbaziale di San Martino Vescovo a Macerata Campania, nei pressi della sacrestia e della nicchia contenente la statua del Santo, è raffigurato il miracolo della colonna spezzata. Il dipinto, una tempera su intonaco, realizzato da Luigi Taglialatela nella prima metà del XX secolo, presumibilmente nel 1926 quando furono realizzati dallo stesso autore gli altri dipinti presenti nell’abside e nella volta, raffigura Santo Stefano Minicillo che salva il popolo dal crollo della colonna nella Cattedrale di Caiazzo. Nella scena raffigurata da Taglialatela il Santo ha la mano sinistra vicino al calice e la mano destra protratta verso la colonna, mentre le persone presenti sono impaurite e scosse da quanto sta avvenendo.

Luigi Taglialatela, "Il miracolo della colonna spezzata di Santo Stefano Minicillo". Decorazione del soffitto presente nella Chiesa Abbaziale di San Martino Vescovo a Macerata Campania. Foto di Vincenzo Polcari, 2015.

Il 29 ottobre 1023, all’età di 88 anni, Stefano Minicillo passava alla gloria del cielo e fu sepolto nella Cattedrale di Caiazzo, la quale divenne subito meta di pellegrini provenienti da ogni parte della Campania.

Il 22 luglio 1284 la cattedrale rifatta e abbellita, originariamente dedicata alla Vergine Assunta, fu consacrata in onore del Vescovo Stefano Minicillo, che già in quella data, e forse anche prima (intorno al 1195), era considerato Santo (Diocesi di Alife-Caiazzo, 2023).

Nel 1512 il Vescovo di Caiazzo Vincio Maffa, senza avere una precisa indicazione fisica e dopo molti tentativi, riuscì a ritrovare il corpo del Santo con indosso ancora i paramenti liturgici e le insegne pastorali. Le reliquie del Santo poste in un’urna, dopo varie sistemazioni, trovarono definitiva collocazione solo nel 1752, quando il Vescovo Costantino Vigilante le collocò in un’apposita cappella (Diocesi di Alife-Caiazzo, 2023).

Il sarcofago che custodiva originariamente il corpo del Santo, ricavato in un unico blocco di tufo lungo due metri e largo ottanta centimetri, fu lasciato al suo posto e ricoperto, per poi essere riportato nuovamente alla luce nel 2007 nel corso dei lavori per il risanamento di alcune macchie di umidità provenienti dalla pavimentazione della Cattedrale (CasertaNews, 2007; Capuano, 2008).

Santo Stefano Minicillo in una riproduzione della prima metà del XX secolo realizzata dalla stamperia napoletana G. Altavilla. Fonte web.
Cronologia essenziale della vita di Santo Stefano Minicillo
  • Anno 935 – Nascita
  • Anno 942 – Ingresso nella Chiesa di San Salvatore Maggiore a Corte di Capua per gli studi clericali
  • Anno 959 – Consacrazione a Sacerdote nella Chiesa di San Salvatore Maggiore a Corte di Capua, con successiva elezione ad Abate
  • Anno 979 – Elezione a Vescovo di Caiazzo
  • Anno 1023 – Morte dell’uomo e natalità del Santo (dies natalis)
Bibliografia

(*) Santo Stefano Minicillo in un affresco presente nella Chiesa di Santa Maria a Marciano a Piana di Monte Verna (Caserta). Fonte Wikipedia.


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