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Pietramelara e Roccaromana ai tempi del Sacco del 1496

  • Storia

Grazie ad uno studio meticoloso di ricerca condotto in maniera esaustiva e precisa da Raffaele Ricciardi, vissuto a Napoli a cavallo tra il XIX e XX, autore di numerosi trattati di storia e cultura del Mezzogiorno, conosciamo nei dettagli l’importante episodio del Sacco di Pietramelara del 1496. All’indomani della famosa Congiura dei Baroni, avvenuta a Napoli e in altri territori del Regno tra il 1485 e il 1486 contro gli Aragonesi, il vasto dominio dei de Roccaromana fu diviso in quattro casati spesso in conflitto fra di loro. La terra di Pietramelara era annessa alla Baronia di Roccaromana sin dai tempi dei Normanni e fino al XV secolo, quando la Baronia fu smembrata e i paesi che la componevano ebbero successioni feudali diverse, come diverse furono le mutazioni e gli eventi che si svolsero fra le rispettive mura. A Giovannella di Celano fu dato il feudo di Pietramelara che portò in dote a Sergio Monforte, figlio del famoso Federico Monforte; mentre la sede della Baronia, Roccaromana, andò a Francesco Marzano, primogenito di Altobello.

Intanto a Napoli entrava il francese Carlo VIII alla testa di 38.000 guerrieri, mentre re Federico II d’Aragona fuggiva a Messina presso il padre Alfonso II. Federico di Monforte, feudatario di Pietramelara, si era schierato a favore dei francesi per recuperare la contea di Bisceglie, che era stata dei suoi avi. L’essersi reso colpevole di “fellonia”, ossia di tradimento della fede giurata, fu causa delle successive sciagure che si abbatterono sulla sua famiglia e sul suo feudo. Roccaromana, invece, rimase fedele al sovrano aragonese, ma non ebbe la lungimiranza politica di ergersi a capo di una unione di resistenza al nuovo monarca Carlo VIII, il quale a Napoli veniva incoronato e osannato dal popolo in festa che aveva già dimenticato il vecchio re aragonese. Ben presto, però, il sovrano francese si dimostrò incapace di governare la città partenopea e di risolvere le discordie interne, così Ferdinando II d’Aragona, con l’aiuto di vari capipopolo, riottenne con facilità il trono.

Il Monforte di Pietramelara, per evitare la resa senza condizioni, chiamò i francesi in sua difesa mentre Federico d’Aragona, conte d’Altamura, zio del re, mandò tutte le truppe a sua disposizione a Pietramelara affinché fosse espugnata. L’esercito cominciò a stringere d’assedio le mura di cinta del paese nel quale la popolazione attuò una difesa resa possibile dall’impianto del borgo compatto e senza possibili brecce. Il 9 marzo il Console veneziano di Napoli scrisse di Petra Molara e di come all’indomani si sarebbe tentato di distruggerla previa richiesta di resa ai cittadini barricati nel borgo, che baldanzosi e troppo sicuri di sé dissero parole disoneste allo Trombetta del Signore. Fu a questo punto che, l’11 marzo 1496, Fabrizio Colonna, Gran Connestabile del Regno di Napoli, con le sue truppe, si strinse alle mura e cominciò l’attacco che terminò con la distruzione di Pietramelara, come documentato testualmente da Giacomo Gallo, cronista filo-aragonese nato a Napoli intorno al 1475.

I soldati si abbandonarono al saccheggio, agli incendi e alle distruzioni, prendendo anche molti mascoli come femine, li portarono a Napoli et il vendettero a tre ducati a bascio insino a cinque carlini l’uno.

Riferendosi a questo episodio, lo storico Giovanni Albino scrisse: «Petra Moliarum ad imo diruit et singolae mulieres quinque coronatis sub hasta venundatae alia militi preaeda est concessa» (trad. Distrusse Pietramelara fino alle fondamenta e venduta ogni donna all’asta per 5 coronati ciascuna il bottino restante fu lasciato alle truppe); ed aggiunse anche che «non si vedette mai tanta ferocia e tal da far ricordare l’epoca di Nerone». Nel registro partium della Cancelleria aragonese si legge che i pochi abitanti di quella terra furono sterminati col sangue e col fuoco e i sopravvissuti alla battaglia furono trucidati mentre tentavano la fuga nelle vicine campagne.

Raffigurazione del Sacco, opera di Giuseppe Pascale

I primi dati certi sulla popolazione di Pietramelara si hanno nel 1536 quando Giustiniani ci informa che vi erano solo 116 fuochi con una popolazione di circa 350 abitanti; la maggior parte erano famiglie emigrate dai paesi circostanti. La prima conta dettagliata dei fuochi, però, si ha solo nel 1546 da cui emerge che Pietramelara contava circa 246 abitanti divisi in varie contrade denominate lo Morrone, la porta della Oliva, la piazza, Lu Cinto, intus Castrum, lo Puzzillo, e santo Rocco extramoenia. Se fossero pervenute a noi le numerazioni del 1489 e quella immediatamente successiva del 1508 avremmo potuto affermare con precisione quanti fossero i morti e l’entità della distruzione del Sacco di Pietramelara.

Ci sarebbe ora da chiedersi che posizione ebbero i paesi limitrofi in tale battaglia. Né Riardo, né Pietravairano, né la Baronia di Roccaromana andarono in aiuto di Pietramelara perché mai vollero tradire il legame con i sovrani aragonesi.

Due lettere a firma del principe Federico d’Aragona sono la prova di tale legame e della gratitudine che questi avesse nei confronti di Francesco Marzano, considerato prediletto e fedele. Le due missive riguardano la storica disputa avente ad oggetto la campana della Chiesa di Santa Maria della Carità presso il Convento di Sant’Agostino in Pietramelara. Nella prima lettera, indirizzata al popolo di Pietramelara, Federico d’Aragona autorizzava l’uso della campana sottratta alle macerie del sacco di Pietramelara dai roccaromanesi e posta sul campanile della chiesa della SS. Annunziata di Roccaromana che, in quel periodo era ancora il luogo di culto più importante della piana di Pietramelara. Nella seconda lettera Federico, dopo aver saputo che un gruppo di pietramelaresi tentò di riprendersi la campana, intervenne nella disputa e con la sua autorità confermò quanto deciso precedentemente, dichiarando che la campana dovesse rimanere presso la Chiesa della SS. Annunziata.

È necessario, arrivati a questo punto, chiedersi perché l’allora potente Roccaromana non andò in aiuto alla vicina Pietramelara. Il motivo, al di là dell’amicizia fra Francesco Marzano e Federico d’Aragona, è legato a un episodio avvenuto qualche mese prima quando i Francesi governavano i territori campani e tentarono strenuamente, con l’aiuto dei pietramelaresi, di occupare Roccaromana che resistette all’invasione.

Fonti scritte a noi pervenute dalla penna di Nicola Rinaldi, sacerdote roccaromanese, riportano i racconti del vecchio eremita del Castello di Roccaromana Antonio Di Cerbo, che narrava di un assedio tenuto dai francesi alla Torre di Roccaromana. Gli assediati roccaromanesi, per difendersi, facevano rotolare giù dal monte botti ferrate piene di lardo e formaggio rancido nella valle occupata dagli assedianti francesi capitanati dal Generale Lupo che con le sue truppe si stanziò presso un terreno posto al di là del Rio Trebolano, quello che oggi è chiamato campo di Lupo proprio per il generale. I francesi tentarono l’impresa per sette mesi e nonostante l’aiuto dei pietramelaresi non riuscirono ad occupare Roccaromana, come narra la famosa frase attribuita al Generale Lupo «7 mesi siamo stati, 7 mesi staremo ma Roccaromana non la prenderemo».

L’eremita Di Cerbo tramandò anche racconti a lui pervenuti circa i particolari della battaglia: descrisse le grotte poste nei pressi della Torre, i sotterranei delle dispense, le armerie e raccontò della morte di un nobile della famiglia Marzano deceduto durante l’assedio e sepolto in una grotta posta sul versante del Monte Castello. La nobildonna Caterina Zarone raccontò, grazie a fonti scritte a lei giunte, che i francesi attribuirono la mancata conquista del borgo a un volere divino propizio per i roccaromanesi; cercarono informazioni su chi fosse il santo protettore e dove fosse custodita la statua e, riverenti, andarono ad offrire a San Cataldo un anello con una grossa pietra che per anni era ben visibile sull’ effige lignea.

Raffigurazione del Sacco, opera di Giuseppe Pascale

Con il passare degli anni, fra Roccaromana e Pietramelara ritornò l’armonia di un tempo. Pietramelara fu distrutta dalle ambizioni dei Signori, dalle cattive mosse politiche dettate dall’ingordigia, dall’incapacità di difendere la propria popolazione e dalla voglia di potere, fama e ricchezza. Nonostante ciò, Pietramelara risorse dalle ceneri e dalla morte, finalmente in pace con le città sorelle. Grazie alla posizione geografica e alla ridente pianura che mancava a Roccaromana, Pietramelara andò gradualmente a conquistare la centralità nel territorio della vecchia Baronia.

Pietramelara è uno dei pochi paesi che ha gioito, negli anni, a vedere rovesciato quel feudalesimo che ha cancellato, col sangue, una ridente popolazione arroccata sulla pietra del miele ritenuta per troppi anni, dai baldanzosi pietramelaresi, inattaccabile e indistruttibile per via dell’assetto urbano del borgo. Ma, come la vita ci insegna, una breccia si può aprire ovunque; del resto l’imponente Fosso di Helm di Talkeriana memoria fu distrutto a causa della presenza di una piccola e minuscola breccia nelle mura maestose e dalla furbizia dell’assalitore…

Bibliografia
  • Giovanni Albino, De gestis regnum neapolitanorum ab Aragonia, Napoli, 1769;
  • Raffaele Alfonso Ricciardi, Pietramelara e la sua distruzione nel 1496, Napoli Stab. Tipografico Artistico 1892;
  • Raffaele Alfonso Ricciardi, Un frammento inedito dello Statuto Municipale di Roccaromana, Napoli Stab. Tipografico di Michele Gambella 1893;
  • Documenti storici privati – Archivi privati, Roccaromana.

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