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Il culto di San Cataldo a Roccaromana

Poche sono le informazioni storiche che abbiamo sulla vita di questo grande santo irlandese vissuto ai tempi di San Patrizio. Sappiamo che nacque tra il 400 e il 405 d.C. a Canty, un piccolo villaggio di collina non molto distante da Lismore, da Euco Sambiak e Aclena Milar, due nobili sposi. La nascita di Cataldo fu preceduta e accompagnata da numerosi prodigi, primo fra tutti il ritorno in vita della madre che morì poco dopo il parto e l’apparizione, poco prima del parto, di una potente luce sopra il tetto del castello dove la famiglia viveva.

Già all’età di 20 anni divenne insegnante presso l’Università di Lismore (accademia di studi e di scambi culturali) attraendo tedeschi, inglesi, scozzesi e francesi che vi si recavano solo per ascoltare le sue lezioni. In quegli anni incontrò San Patrizio, monaco proveniente dalla Scozia, che avendone ammirato le doti lo ordinò sacerdote affidandogli la comunità monastica di Lismore. Anni dopo fu eletto vescovo della provincia di Rachau. Molti furono i miracoli attribuiti alla sua intercessione, primo fra tutti il ritorno alla vita di un operaio che lavorava nel cantiere della chiesa in costruzione. Tutto ciò rendeva San Cataldo popolare e amato dalla sua gente.

Monastero fondato da San Cataldo a Shanrahan in Irlanda

Col tempo però cresceva sempre più in lui il desiderio di visitare la Terra Santa, così vestito da pellegrino e accompagnato da parecchi amici e da un suo congiunto Donateo, il 28 novembre di un anno imprecisato degli anni ’30 di quel secolo, partì dall’Iberia per recarsi a visitare la Palestina. Lì avvenne la svolta radicale della sua vita: mentre era prostrato sul Santo Sepolcro sentì una voce che gli diceva: «CATALDE, VADE TARENTUM» (Cataldo, recati a Taranto). Nella città dei due mari predicò il Vangelo e operò una grande riforma di rinascita religiosa e sociale/economica; riconvertì alla fede cristiana tutta la popolazione e ricostruì molte chiese.

Dopo 15 anni di intenso lavoro pastorale e di servizio alla popolazione, l’8 marzo di un anno tra il 475 e 480 la sua benedetta anima lasciò le spoglie mortali che furono riposte nella Basilica di Taranto dov furono venerate fino alla distruzione del tempio sacro avvenuta nel 916 ad opera dei Saraceni. Solo nel 1071 si ritrovò la tomba con all’interno una crocetta d’oro su cui era incisa la famosa scritta «CataldusRA» che probabilmente stava per Cataldo vescovo di Rachau.

Sulle origini irlandesi del santo, ormai, non ci sono più dubbi infatti anche dal punto di vista iconografico San Cataldo viene rappresentato come uomo di mezza età, barba castana o rossastra con paramenti sacri e pastorale in mano. Tra le rappresentazioni più importanti del santo ricordiamo l’affresco della basilica della Natività a Betlemme e i mosaici della Cappella Palatina di Palermo e Monreale (XII secolo).

Dopo il VII secolo il culto si diffuse in Italia principalmente grazie ai Normanni in quanto re Ruggero II e suo figlio Tancredi ne erano particolarmente devoti.

Eremo di San Cataldo in provincia di Rieti

È interessante notare come i due santi patroni di Roccaromana furono santi protettori dei due popoli, i Longobardi e i Normanni, che intorno al X e XI secolo si sfidarono in battaglia per la conquista dell’Italia meridionale.

Le principali città che lo venerano come patrono con particolare solennità sono Taranto, Corato, Barletta, Cariati, Gagliano Monferrato, Gangi, San Cataldo (CL) e Massa Lubrense che conserva un pregevole mezzobusto in argento nella antica chiesa cattedrale.

Anche a Supino, piccola cittadina della Ciociaria, si venera con particolare devozione il santo: alle 4 del mattino del 9 maggio la statua viene tolta dalla nicchia per essere posta in mezzo al popolo, al centro della chiesa da dove l’indomani a mezzogiorno, fra le acclamazioni del popolo in festa, prende inizio la processione con l’effige portata a spalla da decine di accollatori. L’origine del culto in Ciociaria affonda le radici in tempi assai remoti in cui Supino e la vicina Patrica condividevano, non sempre in pace, la devozione per il santo e il primo luogo di culto dedicatogli.

Veniamo ora a Roccaromana che anche se centro più piccolo e meno illustre di queste ultime non ha mai mancato di dimostrare il proprio affetto al suo protettore. Lo commemora in tre momenti dell’anno:

  • l’8 marzo, dies della sua morte. In questo giorno la tradizione voleva che mentre il sacerdote raccontava il momento del trapasso l’effige del santo fosse “tirata su” nella sua nicchia posta nel punto più alto dell’altare maggiore a simulare il momento della Resurrezione della sua anima;
  • il 10 maggio, giorno in cui venne ritrovato il corpo mentre nella antica cattedrale di Taranto le campane suonavano per invisibil mano;
  • e in una delle domeniche di settembre per ricordare la liberazione dal colera che nel 1836 causò molti morti nel Regno delle Due Sicilie. In tale occasione le autorità civili e militari offrono al Santo i ceri votivi, segno di perenne gratitudine anche per la liberazione dalla peste che nel XV e XVI secolo distrusse molti paesi limitrofi fermandosi, come vuole la tradizione, poca distanza dalle mura di Roccaromana. Come si evince, quindi, la festa di settembre è una tradizione ben più recente di quanto inizialmente si pensasse essendo legata più che alla liberazione dalla peste a quella del colera che per anni fu endemico nel Regno di Napoli.
Interno chiesa di san Cataldo Roccaromana - 1926

Un documento del 1891, scritto dall’allora parroco don Raffaele Del Gizzo raccoglie le informazioni sulla vita del santo, le preghiere e le tradizioni locali in merito alla festa. La novena che ancora oggi celebriamo vide la luce nella seconda metà del XVII secolo. I canti sono molteplici, molti dei quali non in uso e del tutto dimenticati. Va senza dubbio ricordato il responsorio in latino importato da Taranto nel XVIII secolo e modificato per renderlo più roccaromanese proprio da don Raffaele Del Gizzo ed in parte tradotto in italiano dal reverendo don Arnaldo Camuso negli anni ‘60. Da non dimenticare è il tradizionale rosario di San Cataldo cantato durante la processione a cori alterni. La tradizione voleva che si cantasse mentre la statua del patrono attraversava le strade della frazione Santa Croce intonato dalle donne del posto. Il più recente inno della tradizione fu importato dalla vicina Supino (FR) da una devota roccaromanese Carmela Montella che si trovava con il marito in quei luoghi per lavoro.

Nei giorni della festa, fin dalle 4 del mattino, giovani e anziani si recano, alcuni dei quali scalzi, in chiesa dove pregano e cantano nenie e litanie in latino. Nel pomeriggio poi si tiene la processione per le strade di Roccaromana e della vicina Santa Croce; prima di entrare nella frazione avviene il tradizionale scambio della statua: gli uomini di Roccaromana cedono a quelli di Santa Croce l’effige del comune patrono.

Il legame con il santo è stato sempre molto forte tanto che nel 1893 si decise di costruire una nuova e più grande chiesa sulla preesistente cappella e pertanto nel 1911 il parroco don Raffaele Del Gizzo scrisse e donò a tutte le famiglie un libretto denominato fervorino in cui presentava i lavori già compiuti e incitava la popolazione a donare offerte per terminarli.

In modo poetico e colto Del Gizzo, già autore di vari scritti letterari, spronava i compaesani ad impegnarsi nel progetto di costruzione di una chiesa tanto bella quanto maestosa «che la data di questo giorno non si cancelli mai più dalla vostra memoria: oggi 10 maggio egli è stato portato in questa sua chiesa in costruzione, ha letto e veduto scolpito in ciascuna pietra i nobili sforzi della vostra volontà, dei vostri cuori, delle vostre borse per condurre a termine il progettato edificio; …niente è impossibile a noi popolo di Roccaromana e lo mostreremo nei fatti. A voi la grandezza e maestà di questo Tempio, che vogliamo presto condurre a termine, a noi la grandezza e la potenza della Vostra protezione di cui abbiamo tanto bisogno».

Grazie al suo impegno raggiunse l’obiettivo pur non riuscendo a prendere parte all’inaugurazione avvenuta nel 1926 poiché morì l’anno prima. Un grande lavoro fu svolto dal successore, don Bartolomeo Palumbo, originario di San Cataldo (CL) che, già devoto del santo, vendette le sue proprietà in Sicilia per contribuire alle ingenti spese.

Copertina del fervorino (con progetto della faccaiata) Realizzato da don R. Del Gizzo - 1911

Infine, come per ogni festa che si rispetti, anche a Roccaromana si segue il menu della tradizione: la pasta al forno mbruscinata, i peperoni imbottiti e la torta di San Cataldo (con cioccolato fondente, zuppa inglese, biscotti secchi ecc.), dolce che affonda le radici nella prima metà del XIX secolo e la cui ricetta è conservata gelosamente da pochissime famiglie del posto che pur di non diffonderla (a riguardo si tramanda una leggenda), nei decenni addietro, si riunivano per prepararla e donarla ad amici e parenti. L’ho gustata più volte e vi assicuro che è buonissima!

Bibliografia
  • “Perché, Fervorino per la Chiesa di San Cataldo in costruzione”, Mons. Raffaele Del Gizzo 1911, Michele D’Auria -Tipografo Editore Pontificio – Napoli;
  • “Preghiera e Storia di San Cataldo V.”, Mons. Raffaele Del Gizzo 1891, Siena – Tipografia San Bernardino Editore;
  • “San Cataldo da Rachau”, archivio storico web;
  • Archivio diocesano, Diocesi di Teano-Calvi;
  • Archivi privati – Roccaromana.

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