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Bernardo Tanucci, un toscano al servizio di Napoli

  • Storia

Se pensiamo a quella stagione d’oro che fu il ‘700 napoletano, in particolare il periodo compreso tra il 1734 ed il 1799, non possiamo fare a meno di citare le figure dei sovrani Carlo e Ferdinando di Borbone. Eppure un simile periodo di sviluppo sociale, economico ed intellettuale, non può essere attribuito unicamente alle “teste coronate”. Questa particolare congiuntura deve essere collegata inevitabilmente a quell’insieme di personalità eccellenti che la corte del nuovo ed indipendente reame napoletano riuscì ad attirare. Una di queste non può che essere il giurista toscano Bernardo Tanucci. Primo ministro – anche se non usò mai questo titolo – ministro della Giustizia e della Casa Reale, Tanucci fu una delle figure principali della rinascita del Regno di Napoli per i suoi personali contribuiti sia in ambito politico-istituzionale che intellettuale. È proprio a lui, in occasione del 239° anniversario della morte, che dedichiamo questo approfondimento.

Ascesa e declino di un servitore dello Stato
Bernardo Tanucci nacque il 20 febbraio 1698 a Stia nel Casentino, in provincia di Arezzo. Proveniente da una famiglia della media borghesia locale, venne avviato allo studio grazie all’intercessione di un patrono che gli fornì i fondi per intraprendere la strada universitaria. Tanucci infatti si laureò in legge nel 1725 all’Università di Pisa, di cui divenne anche docente. Divenne da subito molto noto in ambito accademico grazie ad un episodio in particolare: la difesa dell’autenticità del Codex Pisanus delle Pandette di Giustiniano.

Grazie anche ad altri suoi interessanti scritti, il granduca Gian Gastone de Medici lo presentò al giovane duca di Parma Carlo di Borbone che nel 1734 transitò attraverso la Toscana per conquistare il trono di Napoli. Carlo capì immediatamente il valore di questo giurista toscano e lo invitò ad unirsi alla sua spedizione. Tanucci accettò prendendo la decisione che gli avrebbe cambiato la vita. Conquistato e reso indipendente il Regno di Napoli, re Carlo, nel corso della sua permanenza a Napoli, conferì a Tanucci incarichi sempre più importanti e prestigiosi: nel 1751 divenne ministro della Giustizia, nel 1753 ministro degli Affari Esteri e nel 1754 Segretario di Stato.

Tanucci divenne l’uomo di fiducia di re Carlo «arbitro della vita di corte e delle assegnazioni degli incarichi, mentre la frequentazione continua con il sovrano ne accresce enormemente l’influenza» e da un certo punto di vista non poteva essere altrimenti. Il giurista toscano infatti si può considerare un convinto assertore della politica accentratrice della monarchia e quindi dello Stato. Una posizione che doveva essere conquistata e difesa da due poteri ostativi: il feudalesimo e la Chiesa.

Questo suo ideale politico troverà maggior sbocco nel periodo che lo vide a capo del Consiglio di Reggenza, costituito a seguito della partenza di Carlo per il trono di Madrid e vista la minore età del futuro re Ferdinando. L’attacco principale di Tanucci fu indirizzato verso le prerogative della Chiesa. Nel 1767 venne espulsa dal regno la Compagnia di Gesù. Nonostante le proteste del papa Clemente XIII, 667 gesuiti furono espulsi dal Regno di Napoli e 775 da quello della Sicilia. L’obiettivo del provvedimento non fu solo di limitare l’influenza dei gesuiti, ma anche di mettere le mani sull’ingente patrimonio che la Compagnia aveva accumulato nel Regno. Si parla di vaste aree di terre, collegi, conventi, seminari, residenze varie e capitali.

Bernardo Tanucci

Contro il potere feudale, invece, l’azione di Tanucci non si esplicò in maniera così decisa e radicale. Non venne abolito l’istituto feudale, ma il giurista toscano cercò con una serie di provvedimenti di limitarne l’influenza soprattutto in ambito giurisdizionale. Nel 1761 venne stabilito che i giudici delle corti baronali dovessero essere forestieri, in modo tale da non poter essere influenzati, e nel 1765 fu deciso l’affiancamento di una rappresentanza borghese a quella nobile nelle cariche amministrative.

L’influenza di Tanucci sulla politica del Regno di Napoli restò tale anche nei primi anni del regno di Ferdinando. Essa venne messa in discussione con l’arrivo a corte di Maria d’Austria. Soprattutto dopo l’ingresso della regina nel Consiglio di Stato, la posizione di Tanucci subì duri colpi che lo porteranno a ricevere il congedo sovrano.

Lo scontro principale avvenne sulla questione delle logge massoniche a Napoli che erano state vietate nel Regno già da Carlo nel 1751. La regina austriaca, differentemente da Tanucci, era molto vicina ai rappresentanti della massoneria. Il giurista toscano, prevedendo ogni mossa, il 12 settembre 1775 fece firmare un editto da Ferdinando che rinnovava il divieto del 1751. Il 2 marzo 1776 venne portata a termine una retata durante una riunione segreta e alcuni massoni furono arrestati. Proprio in questo frangente, re Ferdinando, su pressione della moglie, di intellettuali, aristocratici ed esponenti di corte, presentò al ministro Tanucci la comunicazione di un «meritato congedo». In realtà la questione massonica fu solo la punta dell’iceberg di un’operazione voluta tanto da Ferdinando quanto da Maria Carolina che mirava a far uscire il regno dall’influenza di Carlo e del suo fidato ministro.

La morte
Dopo il congedo obbligato, Tanucci si ritirò a vita privata trascorrendo i suoi ultimi anni di vita a San Giorgio a Cremano dove morì il 29 aprile 1783. Fu sepolto nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e sulla sua tomba fu posta la seguente epigrafe in latino: «nonostante avesse retto il governo di questo regno per più di quarant’anni, giammai impose tributo alcuno».

Bibliografia

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