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L’asino nei detti popolari

Quasi tutte le famiglie della zona collinare di Alvignano, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, possedevano un asino o un’asina. Le uniche vie di comunicazione erano le tante mulattiere che attraversavano le colline delle frazioni di Marcianofreddo, Montaniccio e della località Valli. Qui ogni piccolo appezzamento di terreno era lavorato, seminato e raccolto, con l’aiuto dell’asino che trasportava tutto sulla sua soma.

Gli asini portavano a casa grano, granturco, fagioli, paglia, fieno, olive, legna, carbone e tutto quello che si ricavava dalla terra. Ripartivano, poi, per il mulino col grano, per il frantoio con le olive, per la fiera di San Ferdinando d’Aragona – patrono di Alvignano – o quella di Santo Stefano Minicillo a Caiazzo con carbone, qualche pollo o le poche derrate a cui si poteva rinunziare per acquistare del necessario.

Veduta panoramica da Marcianofreddo sulla campagna di Alvignano - Foto di Mario Mastroianni

La domenica gli asini venivano portati in paese per il mercato settimanale, ma attraverso mulattiere collinari, allo stesso modo, raggiungevano il mercato di Caiazzo. Qualche volta per necessità o per piacere raggiungevano la fiera di San Sisto ad Alife o quella di Santa Maria Capua Vetere. Gli asini erano adibiti soprattutto alle macine a pietra dei sette frantoi presenti a Marcianofeddo. Chi non possedeva un asino si faceva aiutare da chi l’aveva e per lavori più grossi come il trasporto di maggiori quantità di legna o carbone si chiamavano i mulattieri.

Nei seguenti detti popolari traspare l’antica alleanza con uno dei primi animali addomesticati e utilizzati come prolunga delle forze umane, ma anche il riflesso in esso di pregi, difetti e pregiudizi umani.

A lavà a cap’u ciucce ce pierde acque e sapone.
A lavare la testa all’asino ci perdi acqua e sapone.

A ‘mparà a vuie e a ‘mparà u ciucce è a stessa cose, almene u ciucce scapezzéie.
Insegnare a voi ed insegnare all’asino è la stessa cosa, almeno l’asino scuote la testa.

Attacche u ciucce addò vo u padrone.
Lega l’asino dove vuole il padrone.

Dalle e dalle u ciucce se corche.
Dai e dai l’asino si corica.

E’ muorte nu ciucce.
E’ morto un asino. (Di un evento raro)

Fa comme u ciucce, se sonne e mena cauce.
Fa come l’asino, sogna e tira calci.

Femmene ciucce e crape, tenene tutte a stessa cape.
Femmine, ciucci e capre hanno tutte la stessa testa.

I ciucce s’appeccechene e i varrile se scassene.
Gli asini si bisticciano e i barili si scassano.

Marie a sor’a ciuccia mie.
Maria la sorella dell’asina mia.

Mo’ che u ciucciu mie s’ere luate u vizie e mangià, è muorte.
Ora che l’asino mio si era tolto il vizio di mangiare, è morto.

Nun se corche cu ciucce pe nnu straccià le lenzole.
Non va a letto con l’asino per non strappare le lenzuola.

Pe mancanze d’uommene fanne e ciucce pe cape e case.
Per mancanza di uomini fanno gli asini capi di casa.

Quanne me more mugliereme
m’eggia vestere e russe
Si me more stu ciucce
m’eggia vestere a lutte.
Quando muore mia moglie
mi devo vestire di rosso
Se muore quest’asino
mi devo vestire a lutto.

Tanta niente accederene u ciucce.
Tanti niente uccisero l’asino.

Stavano rubando i cavoli cappuccia e li caricavano sull’asino.
– Mai per un’altra cappuccia, tanto non pesa niente.
– Mai per un’altra cappuccia, tanto non pesa niente.
– Mai per un’altra cappuccia, tanto non pesa niente…
e continuavano a caricare. Caricato all’impossibile l’asino stramazzò.

U ciucciu mie nu tene chi gl’avante s’avante isse setesse.
Il ciuccio mio non ha chi lo vanta si vanta da sé.

U ciucce porte a paglie e u ciucce s’a mange.
L’asino porta la paglia e l’asino se la mangia.

U voie chiame curnute all’asine.
Il bue chiama cornuto l’asino.


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